martedì 3 maggio 2016

OMAGGIO A CAMILLO QUERNO




Camillo Querno Archipoeta

Camillo Querno da Monopoli, avendo inteso che presso papa Leone i poeti erano tenuti in gran prezzo e ricevevano generosi regali, venne a Roma con la sua lira, al suono della quale aveva cantato i ventimila e passa versi della sua Alexias. Al vederlo sopraggiungere con quel piglio vivace, la lunga chioma di capelli e il florido viso da Apulo, i suoi colleghi dell’Accademia lo accolsero subito con spontanea benevolenza, ritenendolo indiscutibilmente degno del lauro. E così, invitato ad un solenne convito nell’isola Tiberina dedicata ad Esculapio, dopo che ebbe abbondantemente bevuto e recitato con grande impegno i propri versi accompagnandosi con la lira, il Querno venne incoronato con un serto di nuovo tipo: una corona elegantemente intrecciata di pampini, alloro e foglie di cavolo, a voler spiritosamente significare che le proprietà curative di queste avrebbero dovuto tenere a freno l’ebrietà. Per unanime consenso gli venne assegnato il soprannome di Archipoeta, che lui accettò versando lacrime di gioia; e fu acclamato al canto ripetuto di questi versi:

Salve, o Arcipoeta, verdeggiante
di cavolo, alloro e pampini,
degno delle orecchie di papa Leone!



Forte di tale nomea venne quindi presentato a Leone X, dinanzi al quale recitò con foga torrentizia un numero infinito di versi, armoniosi e ben torniti: e da quel momento egli divenne il divertimento intellettuale preferito dal pontefice. Mentre Leone pranzava, infatti, Camillo se ne stava nel vano della finestra, cibandosi con i resti dei piatti che il pontefice gli offriva di propria mano, bevendo dal fiasco del papa e recitando versi all’improvviso. (…) Alla morte di Leone tutti i poeti di quella cerchia finirono in rovina, e il Querno fece ritorno a Napoli. Lì vide l’esercito francese intento a distruggere e a saccheggiare; e, ridotto anch’egli in miseria, era solito dire con grande finezza che, lasciato un benigno leone, s’era imbattuto in un branco di feroci lupi. Gravato dal doppio peso della miseria più nera e di una malattia incurabile, morì in un ospedale per essersi squarciato il ventre e le viscere con delle forbici, ribelle alla crudeltà della propria sorte.

(Da Elogi degli uomini illustri di Paolo Giovio. Elogia veris clarorum virorum imaginibus apposita, quae in Musaeo Ioviano Comi spectantur (Venezia 1546), che uniti agli Elogia virorum bellica virtute illustrium (Firenze 1551) formano il volumone Elogi degli uomini illustri curato da Franco Minonzio per i «Millenni» di Einaud).

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