Bibit Archipoeta
blog di Primo Fornaciari
venerdì 13 ottobre 2017
Una piada per l'Ebreo errante
Il vento come un mostro ebbro mugliare
udii notturno. Errava non veduto
3tra i monti, e poi s’urtava al casolare.....
CONTINUA...
lunedì 14 novembre 2016
ELOGIO DEL FICO
"Io non so che cosa sia la poesia.
Però so abbastanza bene che cos'è un fico."
Di Alessandro Tassoni (1565-1635) e
della sua passione per il frutto del fico, si trova qualcosa (per la
precisione un capitolo) nel mio “Bibit Archipoeta”.
Il buon Tassone negli ultimi giorni
della sua vita disse più o meno che tutto il suo travaglio poetico
in giro per le italiche corti aveva dato come risultato un fico.
Trecento anni dopo gli fa eco un
collega poeta francese, Francis Ponge (1899-1988), noto come il poeta
delle cose, dell'osservazione ed esaltazione degli oggetti più
umili.
Nel 1951 Ponge comincia a scrivere una
poesia sul fico che poi, negli anni, svilupperà come una sorta di
manifesto sulla natura stessa della poesia e dell'arte.
Chi è interessato all'erudito studio
fatto da Giampaolo Barosso, può con gusto affacciarsi QUI
Se Tassoni aveva paragonato le sue
sfortune professionali all'umile fico (povero ma anche consolatorio,
come è in fondo la poesia), Ponge fa del fico l'immagine stessa del
lavoro artistico, fino all'immedesimazione del poeta con il dolce
frutto, dalla ricchezza segreta ma al tempo stesso alla portata della
mano di tutti:
Non so molto bene che cosa sia la
poesia, ma so abbastanza bene che cos'è un fico. / [...] / I miei
rapporti con la poesia mi sembrano incerti. Quelli col fico, certi.
Forse in virtù di una certa somiglianza: io non sono che una povera
fiasca, piena però di granelli d'oro di porpora sontuosa arricchita
di granelli d'oro, succulenta. /
giovedì 3 novembre 2016
LA PREDICA CONTRO I DORMIGLIONI DI SWIFT
Dormire in chiesa: peccato mortale o
possibile salvezza? Se non altro dal tormento di certe noiosissime
prediche... La questione solo apparentemente bizzarra è tornata di
una certa attualità. Qualche tempo fa Papa Francesco, rivolgendosi
al clero riunito in convegno, parlando della farraginosità di certe
omelie, ha esortato: “...abbiate pietà del popolo di Dio”.
Aggiungendo poi una singolare indicazione ai sacerdoti: “Le persone
non sopportano più di otto minuti, poi si disconnettono, e vogliono
si parli al cuore”. Curiosa acribìa quella degli otto minuti, che
fa pensare con un brivido ai 140 caratteri regola del mondano
Twitter, e insomma alla velocità e superficialità del nostro
comunicare d'oggidì.
Ora, il tema del dormire in chiesa,
apparentemente stravagante, ovvero del pericolo costituito
dall'effetto soporifero delle prediche, in realtà non è nuovo, anzi
ha addirittura radici bibliche. Si ritrova in un episodio minore
degli Atti degli Apostoli, dove si narra di una predicazione di
Paolo: “Un ragazzo di nome Eutico, seduto alla finestra, mentre
Paolo continuava a conversare senza sosta, fu preso da un sonno
profondo; sopraffatto dal sonno, cadde giù dal terzo piano e venne
raccolto morto. Paolo allora scese, si gettò su di lui, lo abbracciò
e disse: Non vi turbate, è vivo!”. Poi l'Apostolo risalì, spezzò
il pane in compagnia, mangiò, e parlò ancora molto fino all'alba.
Certo, gran predicatore Paolo, anche se, si deve constatare, a volte
esagerava.
Non credo che il problema sussista
ancora oggi: i giovani, ancorché pochi, non cadono dai banchi
stramazzando tra le navate. L'arte di predicare si è adeguata ai
tempi e i preti immagino si attengano in generale alle indicazioni
del papa, ovvero facciano i conti con la diminuita capacità di
attenzione dei fedeli e la velocità che domina il terzo millennio.
Tuttavia può essere di un qualche interesse un leggerissimo libretto
uscito per le edizioni EDB: “Predica sul dormire in chiesa”,
scritto da Jonathan Swift (proprio così: l'autore dei Viaggi di
Gulliver). Swift (1667-1745) che fu pastore anglicano, si scagliò
così contro i dormiglioni, ovvero, più in generale, contro
l'indifferenza per la religiosità che dominava i suoi tempi; tempi
che egli considerava particolarmente decaduti. La breve prosa è un
pezzo di maestria, e può far riflettere ancora oggi (anche chi ha
una fede malsicura o nulla) sulla necessità di vegliare e non cedere
ai tanti sonniferi che il mondo ci ammannisce; solo un genio
comunicativo come il suo poteva permettergli di lanciare un'invettiva
contro chi dorme alle prediche, per mezzo di una predica. “Per
molta gente l'oppio non è così stupefacente come un sermone”, si
lamenta Swift dal suo pulpito, eppure la sua predica non fa per
niente dormire.
(Primo Fornaciari, da "La Voce di Romagna")
lunedì 24 ottobre 2016
L'OTTOBRE DI OLINDO
Nel pieno delle celebrazioni per i 100 anni di Olindo Guerrini, un articolo che segnala una interessante mostra a S.Alberto.
(Da La Voce di Romagna del 20/10)
giovedì 6 ottobre 2016
LODE ALL'ANGUILLA
Un pesce caro ai poeti, e dal nostro Olindo amata anche a tavola...anche se il Berni di lei aveva già detto tutto (compresa la sua saviezza):
S’io avessi le lingue a mille a mille
e fussi tutto bocca, labra e denti,
3io non direi le laudi dell’anguille;
non le direbbon tutti i miei parenti,
che son, che sono stati e che saranno,
6dico i futuri, i passati e’ presenti;
quei che son oggi vivi non le sanno,
quei che son morti non l’hanno sapute,
9quei c’hanno a esser non le saperanno.
L’anguille non son troppo conosciute
e sarebbon chiamate un nuovo pesce
12da un che più non l’avesse vedute.
Vivace bestia che nell’acqua cresce
e vive in terra e in acqua, e in acqua e in terra,
15entra a sua posta ove la vòle et esce,
...
L’anguilla è tutta buona e tutta bella,
e se non dispiacesse alla brigata,
30potria chiamarsi buona robba anch’ella,
ché l’è morbida e bianca e delicata,
et anche non è punto dispettosa:
33sentesi al tasto quando l’è trovata.
Sta nella mota il più del tempo ascosa,
onde credon alcun ch’ella si pasca
36e non esca così per ogni cosa,
com’esce il barbo e com’esce la lasca
et escon bene spesso anch’i ranocchi
39e gli altri pesci c’hanno della frasca.
Questo è perché l’è savia et apre gli occhi,
ha gravità di capo e di cervello,
42sa far i fatti suoi me’ che gli sciocchi.
lunedì 5 settembre 2016
venerdì 26 agosto 2016
STECCHETTI CICLISTA
E pensare che all'inizio, come tutti quelli della sua generazione, guardava con fastidio i ciclisti che, lanciati a rotta di collo, disturbavano il placido passeggio dei pedoni in città. Poi si convertì al ciclismo seguendo i figli, alla bella età di 50 anni! E così, abbandonata la penna (che tante gioie, ma anche tanti fastidi gli aveva procurato, come ad esempio la notorietà), chiuse le imposte della biblioteca, inforcava il "ferreo corsiero" e gamba!
QUI una bella mostra degli amici santalbertesi.
QUI un po' di storia.
QUI un piccolo ricordo personale.
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