"Io non so che cosa sia la poesia.
Però so abbastanza bene che cos'è un fico."
Di Alessandro Tassoni (1565-1635) e
della sua passione per il frutto del fico, si trova qualcosa (per la
precisione un capitolo) nel mio “Bibit Archipoeta”.
Il buon Tassone negli ultimi giorni
della sua vita disse più o meno che tutto il suo travaglio poetico
in giro per le italiche corti aveva dato come risultato un fico.
Trecento anni dopo gli fa eco un
collega poeta francese, Francis Ponge (1899-1988), noto come il poeta
delle cose, dell'osservazione ed esaltazione degli oggetti più
umili.
Nel 1951 Ponge comincia a scrivere una
poesia sul fico che poi, negli anni, svilupperà come una sorta di
manifesto sulla natura stessa della poesia e dell'arte.
Chi è interessato all'erudito studio
fatto da Giampaolo Barosso, può con gusto affacciarsi QUI
Se Tassoni aveva paragonato le sue
sfortune professionali all'umile fico (povero ma anche consolatorio,
come è in fondo la poesia), Ponge fa del fico l'immagine stessa del
lavoro artistico, fino all'immedesimazione del poeta con il dolce
frutto, dalla ricchezza segreta ma al tempo stesso alla portata della
mano di tutti:
Non so molto bene che cosa sia la
poesia, ma so abbastanza bene che cos'è un fico. / [...] / I miei
rapporti con la poesia mi sembrano incerti. Quelli col fico, certi.
Forse in virtù di una certa somiglianza: io non sono che una povera
fiasca, piena però di granelli d'oro di porpora sontuosa arricchita
di granelli d'oro, succulenta. /